La relazione tra postura e tango
In questi articoli vengono affrontate in maniera specifica alcuni aspetti della tecnica del tango per far comprendere come riconoscere e migliorare alcune problematiche che ballando potrebbero nascere o accentuarsi.
Inoltre vengono illustrati anche dei consigli pratici per correggere aspetti legati alla postura che potrebbero migliorare la tecnica e farvi “volare” in Milonga o durante le esibizioni!
Non sempre le difficoltà risiedono nella capacità di apprendimento.
A volte la rigidità muscolare, una postura scorretta o un dolore non permette agli allievi di imparare un passo nuovo.
In questo caso, l’aiuto vero, sarebbe quello di migliore le capacità del corpo.
Il nostro consiglio come ballerini ed insegnanti è quello di approcciare sempre un posturologo se si vuole migliorare postura ed equilibrio e prendere maggiore consapevolezza del proprio asse, soprattutto in presenza di dolori alla schiena o a qualsiasi altra articolazione.
In seguito può essere utile avvicinarsi al pilates per rinforzare la muscolatura, ma solo se non si hanno problemi posturali o dolori.
Un altro lavoro di approfondimento può essere fatto studiando tecniche di danza moderna e contemporanea per aumentare la conoscenza e la consapevolezza dell’equilibrio e dell’origine delle dinamiche del corpo, ma anche per le prese di Tango Escenario per i più esperti.
Tango e Terapia Fasciale – Marco Montanari
Dal punto di vista fisico l’Integrazione Fasciale agisce sui sistemi volontari e involontari del corpo. Il tessuto connettivo unisce ogni apparato e costituisce la base dell’insieme dei muscoli e delle fibre senza soluzione di continuità. Il connettivo crea una rete quindi tra il sistema muscolare, scheletrico, nervoso, endocrino, circolatorio, respiratorio, immunitario. Questo fa dell’Integrazione Fasciale un metodo olistico che non tralascia l’importanza complessiva degli aspetti fisici, emotivi, mentali, e delle attitudini della persona.
Impatti ambientali o sistemi di credenze consolidati agiscono drammaticamente come i traumi fisici sul nostro corpo e compromettono il nostro benessere. Le manovre di integrazione fasciale agiscono su questi schemi recalcitranti e coatti. Possiamo immaginare ogni contrazione cronica come un deposito di memorie psichiche e fisiche delle quale non si è preso coscienza e alle quali non si è data una adeguata risoluzione. Il corpo è quindi un contenitore di esperienze e pesi (soma) che avvengono troppo in fretta, e che non sono spesso elaborati in modo completo. Ogni manovra su una specifica area ha la funzione di riportare il corpo alla sua originaria fluidità.
Prende origine dalle manovre che vengono dalla manipolazione dei tessuti fasciali, dall’Integrazione Posturale, dalla bioenergetica e dallo studio dei Meridiani Miofasciali. Alcuni elementi e tecniche per l’accesso alle esperienze profonde si rifanno all’approccio dalla Gestalt e della psicosintesi.
Dal punto di vista fisico l’Integrazione Fasciale agisce sui sistemi volontari e involontari del corpo. Il tessuto connettivo unisce ogni apparato e costituisce la base dell’insieme dei muscoli e delle fibre senza soluzione di continuità. Il connettivo crea una rete quindi tra il sistema muscolare, scheletrico, nervoso, endocrino, circolatorio, respiratorio, immunitario. Questo fa dell’Integrazione Fasciale un metodo olistico che non tralascia l’importanza complessiva degli aspetti fisici, emotivi, mentali, e delle attitudini della persona.
Impatti ambientali o sistemi di credenze consolidati agiscono drammaticamente come i traumi fisici sul nostro corpo e compromettono il nostro benessere. Le manovre di integrazione fasciale agiscono su questi schemi recalcitranti e coatti. Possiamo immaginare ogni contrazione cronica come un deposito di memorie psichiche e fisiche delle quale non si è preso coscienza e alle quali non si è data una adeguata risoluzione. Il corpo è quindi un contenitore di esperienze e pesi (soma) che avvengono troppo in fretta, e che non sono spesso elaborati in modo completo. Ogni manovra su una specifica area ha la funzione di riportare il corpo alla sua originaria fluidità.
Per questo l’Integrazione Fasciale predilige tecniche specifiche che favoriscono l’attivazione involontaria della muscolatura. L’uso del respiro e del movimento saranno quindi di fondamentale importanza per il rilascio energetico e agiranno conseguentemente anche sulle funzionalità articolari e motorie. Spesso cadiamo nell’abitudine di vedere il nostro corpo come un oggetto, un utensile che si è rotto e non funziona bene, lo portiamo a “riparare” da una persona che conosca bene la “meccanica” del problema e possa eliminare il fastidio nel minor tempo possibile, o nel modo più indolore. Ma sottili meccanismi sono alla base della risoluzione di tali disagi. La formazione di ogni integratore fasciale non tralascia gli aspetti che, dietro le quinte, mantengono gli scompensi e non favoriscono il rilascio completo e definitivo delle fasce.
L’operatore utilizza progressivamente il suo peso per calibrare l’intervento su aree specifiche. Le manovre hanno una durata variabile da un minuto a diversi minuti. Attraverso l’uso delle dita, pugni, nocche, gomiti e mani, i tessuti vengono invitati distendersi ed assumono una consistenza sempre più flessibile, elastica e malleabile. Il cliente non è passivo ma interagisce con l’operatore durante il trattamento: respira congruamente, tende, rilascia e muove lentamente gli arti interessati. Si svolge così uno scambio dinamico e interattivo. Le manovre sulla corazza sono profonde, ma alla profondità ci si arriva attraverso una graduale e incisiva penetrazione di volta in volta adattata al tipo di tessuto e tipologia del cliente. L’operatore estende così la sua intenzione a tutti gli aspetti, non solo fisici quindi, ma anche mentali, emotivi, e respiratori. Ristabilisce così le armoniche interazioni tra i sistemi e il riassetto posturale si ottiene dall’equilibrio di tutte le funzioni.
Il risultato del trattamento porterà un effettivo contributo alla nuova propriocezione del corpo oltre che alla trasformazione degli aspetti più disfunzionali e ripetitivi della persona. Il calore, le vibrazioni, le correnti piezoelettriche, i formicolii e gli scatti involontari della muscolatura saranno per ogni integratore fasciale chiari segni del fatto che sta avvenendo una apertura completa del tessuto. Esse sono l’espressione concreta delle “energie” trattenute nell’intensità variabile della loro natura.
Queste correnti si distribuiscono su diversi livelli: lunghezza, larghezza e profondità. La liberazione prevede l’intervento su tutte queste dimensioni, senza esclusione alcuna. Per questo motivo le catene muscolari dei meridiani che vanno dal cranio alla pianta del piede saranno trattate secondo le più recenti scoperte dei “Meridiani Miofasciali“, testo di Thomas Myers. Per i blocchi dei “paralleli miofasciali”che limitano la mobilità della vibrazione orizzontale del corpo e concernono i sette anelli Reichiani, verranno utilizzate tecniche bioenergetiche di Alexander Lowen. Essi, come cinture, si stringono attorno agli occhi, la bocca, il collo, il torace, il diaframma, l’addome e il bacino. Ma non saranno escluse le zone del cuore e del bacino raggiunte con trattamenti profondi.
L’Integrazione fasciale mette insieme molti riferimenti teorici e tecnici adeguatamente coordinati e aggiornati in base ad un’esperienza consolidata in anni di pratica. Questo fa dell’Integrazione Fasciale la sintesi di lavoro corporeo olistico.
Tratto da https://www.integrazionefasciale.it/
È scientificamente dimostrato che mente e corpo sono in stretta connessione, tutto ciò che avviene a livello mentale causa reazioni conseguenti nel corpo. Se suddividiamo il corpo umano in particelle infinitesimali fino a raggiungere il più piccolo elemento identificabile, troviamo un atomo composto da un nucleo, protoni, neutroni ed elettroni, che ruotano intorno ad esso.
Se ingigantiamo questo atomo fino a portarlo alla misura della Terra, gli elettroni sono proporzionali alla grandezza della Luna e la distanza tra il nucleo ed un elettrone è simile alla distanza che intercorre tra la Terra e la Luna. Esiste molto spazio tra il nucleo e l’orbita degli elettroni, tanto da calcolare che il novantanove per cento della massa del corpo è costituita dal suddetto spazio, cioè da vuoto. Gli elettroni e gli atomi nascono, si sviluppano e si muovono in questo vuoto, campo di potenzialità e di energia pura.
Se vediamo il nostro corpo con gli occhi di un fisico, percepiamo un enorme spazio con milioni di puntini che sono sospesi e si muovono in esso. Einstein dimostrò che il nostro corpo potrebbe venire racchiuso in una capocchia di uno spillo se si potesse comprimere tutto quello che c’è nello spazio interconnesso tra gli elementi. Sempre Einstein, nella teoria quantistica dimostrò che quando si suddividono elettroni e protoni in elementi ancora più piccoli si ottengono particelle subatomiche formate da pure vibrazioni, non più particelle solide ma onde. Queste fluttuazioni di energia sono chiamate quanti; se luminosi si definiscono fotoni, se gravitazionali gravitoni, se sono elettrici, elettroni.
Le onde vibrazionali nascono e muoiono nel vuoto e gli effetti di questi comportamenti spontanei di creazione e annullamento sono stati misurati in laboratorio e chiamati “fluttuazioni nel vuoto”. Anche nel corpo possiamo definire una unità di quanto: quell’impulso di informazioni che nasce dalla nostra coscienza, quell’onda energetica vibrazionale che nasce dal vuoto e prende forma nella materia e nel nostro corpo, il pensiero.
Dalla psiconeuroimmunologia, scienza medica che studia la relazione fra sistemi endocrino, neuroendocrino ed immunitario, sappiamo che quando si ha un pensiero, il nostro corpo sviluppa una serie di sostanze chimiche chiamate neuropeptidi che si legano attraverso recettori specifici con le altre cellule del corpo. Sono quindi i pensieri che producono neuropeptidi; queste sostanze sono prodotte anche se non ne siamo coscienti, quindi quando i nostri pensieri sono del tutto inconsci. Le informazioni di pensieri ed emozioni passano direttamente alle cellule del corpo e causano modificazioni della loro attività intrinseca. In una visione più ampia, questi infinitesimali cambiamenti fisiologici che avvengono a livello cellulare si possono tradurre in vistose modificazioni del comportamento, dell’attività fisica e perfino dell’umore in ogni individuo.
Il nostro sistema immunitario, sempre secondo la psiconeuroimmunologia, è costituito da cellule dette monociti, ed in esse risiedono i recettori dei neuropeptidi. Tutto ciò indica che il nostro sistema immunitario conosce e riceve i nostri pensieri, sia consci che inconsci, reagendo ad essi. A sua volta, il sistema immunitario produce neuropeptidi che passano informazioni ai nostri organi ed al nostro sistema connettivo. Le cellule che possiedono recettori dei neuropeptidi sono state trovate anche in organi come fegato, reni, intestino, i quali producono a loro volta neuropeptidi.
Quindi il nostro sistema immunitario e tutto il nostro corpo è pensante, comunica, interagisce e reagisce e dunque è influenzato dal nostro modo personale di pensare, immaginare e relazionarci.
Appartiene oramai al passato la vecchia visione della comunicazione ad impulsi elettrici del cervello o la disputa tra William James e Walter Cannon, alla fine dell’ottocento, nella quale James asseriva che le emozioni prima hanno origine nel corpo e poi a livello del pensiero cosciente, mentre Cannon affermava, al contrario, che prima nascono nella testa e solo successivamente si sviluppano nel corpo.
Oggi sappiamo, soprattutto dopo le recenti scoperte in campo chimico, che la mente non è limitata al cervello ma si trova dappertutto, è in tutto il corpo. A sostegno di questa teoria è prezioso il contributo della ricercatrice Candace B. Pert, la quale, alla fine degli anni novanta, si è prodigata con entusiasmo a verificare la presenza nelle aree nel corpo di recettori per neuropeptidi. La Pert ha riscontrato una concentrazione elevata di neuropeptidi fra i nervi ed i fasci di cellule, chiamate gangli, che sono distribuiti non solo lungo tutto il midollo spinale, dove vengono filtrate tutte le sensazioni corporee in entrata, ma anche lungo tutti i percorsi che conducono agli organi interni, alla superficie stessa della nostra pelle ed alle fasce muscolari.
Quando compiamo un movimento del corpo l’informazione del pensiero, convertita in un codice binario di puntini e linee, passa attraverso la rete di neuroni e viene mandata giù per il midollo spinale fino alle giunzioni neuromuscolari pertinenti che si contraggono secondo la sequenza codificata. Un’emozione, una sensazione soggettiva o un sentimento associato a quel movimento causa, oltre all’informazione meccanica, la secrezione di catene di amminoacidi, i neuropeptidi appunto, che passano le informazioni direttamente alle cellule.
Ci sono emozioni che possono essere espresse direttamente attraverso il corpo, in quanto ogni emozione per esprimersi deve passare necessariamente da esso, ed altre che, per una qualche ragione, non trovano espressione diretta, ma rimangono ferme in parti di esso. Possiamo immaginare che la scelta tra ciò che diventa un pensiero o un’emozione espressa coscientemente, e ciò che si ferma, rimanendo qualcosa di non digerito e sepolto in qualche area del corpo, viene mediata dai recettori. Il ricordo ed il vissuto personale è codificato ed immagazzinato come processi di memoria a livello di recettori, e rimane inconscio fino a quando non viene riportato a coscienza attraverso una nuova stimolazione di tali recettori e delle aree corporee correlate. Non è un caso che molti vissuti emergono stimolando zone in cui vi è una fitta presenza di recettori, quali l’area del pericardio, quella addominale e viscerale e la zona dei muscoli intorno al bacino ecc.
Se consideriamo il lavoro corporeo come un lavoro sul tessuto connettivo, quel tipo di tessuto che provvede al collegamento, sostegno e nutrimento di tutti i tessuti dei vari organi e che connette ogni parte del nostro corpo, non possiamo eludere che, lavorando su di esso, andiamo ad influenzare anche tutte le cellule che sono sospese e vivono in sua connessione, quindi tutte le memorie contenute nei corpi cellulari e nelle aree recettoriali.
Il lavoro sui tessuti come quello dell’integrazione posturale o del rolfing, che agiscono sulle fasce connettivali attraverso le dita, pugni, nocche, gomiti e mani, permette alla muscolatura di diventare marcatamente più flessibile, elastica, consistente e malleabile, e accede profondamente ai vissuti emotivi della persona, sedimentati nelle fasce sotto forma di tensioni. Questa conseguenza è a dire il vero inseparabile da qualsiasi lavoro con e attraverso il corpo, sia esso un intervento di bioenergetica, cranio sacrale, shiatsu o altre discipline. Più direttamente si entra in contatto con i corpi cellulari attraverso manovre profonde, più si può riscontrare il riaffiorare di vissuti emotivi accanto al lavoro tecnico specifico.
Il termine “integrazione” viene ad indicare il momento in cui questi vissuti emotivi, in quanto parti della persona, vengono reintegrati nel corpo attraverso un lavoro di riappropriazione, con il risultato di una maggiore fluidità fisica e una conseguente armonia psichica.
Il lavoro sulla fascia è un lavoro sulla rete fibrosa degli involucri muscolari ed è strettamente connessa, oltre che alla rete neuronale degli impulsi nervosi dei pensieri come abbiamo visto prima, anche alla rete circolatoria. Attraverso il sangue arrivano le sostanze nutritive a tutta la rete mio-fasciale. In particolare il lavoro del muscolo necessita ossigeno ed ogni molecola di ossigeno catturata dagli alveoli polmonari passa attraverso il plasma e raggiunge le pareti capillari per essere utilizzata nelle azioni muscolari.
Resta quindi un punto importante l’uso della respirazione nel lavoro fasciale per consentire ai tessuti di ritrovare la loro morbidezza e arrendevolezza. L’ossigeno e l’attivazione della rete circolatoria è una componente importantissima per rendere fluide quelle aree che prima erano legate e bloccate e per risvegliare i recettori presenti in esse.
Uso spesso la respirazione con cicli caratterizzati da una serie di respiri in cui l’accento è posto prima sull’inspirazione, quindi con modalità di carica del tessuto e stimolazione manuale dell’area interessata, poi l’accento viene posto sull’espirazione, con modalità di scarica, accompagnata da manipolazioni più grossolane e profonde.
Il lavoro con il respiro ha l’utilità di preparare il tessuto per le successive manovre più profonde con le dita, gomiti o pugni. L’intero ciclo del respiro, ripetuto durante una sessione, serve a scaldare nuovamente il tessuto permettendo di mantenere attivo il processo; è anche fondamentale per mantenere il contatto tra l’operatore e il cliente durante tutto l’incontro.
Rispetto ai vissuti emozionali emergenti, l’uso della respirazione è uno strumento di base per facilitare e dirigere il processo che sta avvenendo. Quando, ad esempio, l’energia di una persona è molto bassa è utile favorire la carica e questo permette anche alle emozioni di emergere; se quello che sta avvenendo è “troppo” per il cliente, è utile favorire la scarica o riportare la persona in quiete.
Nelle sedute di integrazione posturale viene posta un’attenzione particolare al sentire e al qui ed ora: le manovre, l’uso della respirazione e l’espressività portano in superficie vissuti e sensazioni mutevoli e variegate. Attraverso il contenimento ed il supporto nel qui ed ora, il cliente è costantemente invitato a rimanere in contatto con quello che emerge di volta in volta, e solo in questo modo avvengono le risoluzioni dei vissuti.
Occorre avere molto tatto quando si incomincia un lavoro corporeo; ci sono ad esempio persone che sono abituate ad usare molto la mente ed hanno dato sempre poca importanza alla parte fisica, in questo caso ogni minimo movimento o intervento sul corpo potrà essere eccessivamente invasivo e bloccante. Si riconoscono facilmente queste situazioni perché più che entrare nel corpo attraverso immagini, respirazione o movimento, la persona tenderà a parlare o ad “andare via” con la mente dal lavoro che si sta svolgendo insieme, la mente diventerà un mezzo per difendersi e sorgeranno parecchie domande. In questi casi è molto importante rispondere alle domande, in modo da avvicinarsi gradualmente insieme al lavoro, monitorandone l’invadenza.
Spiego spesso che il lavoro corporeo è un lavoro invasivo e che può essere anche molto doloroso; se si riesce ad andare oltre il dolore, questo è forse l’intervento più efficace per il rilascio delle fibre muscolari. Deve essere fatto gradualmente e nel rispetto dei limiti e delle possibilità di chi riceve. A volte è come uno sciroppo alle erbe molto amaro, che alla fine è curativo.
Le manovre nel lavoro di integrazione posturale sono al limite di una soglia nella quale si può provare o un dolore troppo forte che porta al blocco, ed è negativo per l’obbiettivo finale, o ad un dolore positivo che favorisce l’abbandono ed il rilascio.
È come se il cliente potesse scegliere, una volta che si trova a ricevere, se rifiutare e chiudersi a quell’invasione, oppure lasciarsi andare ed aprirsi, abbandonandosi a tutto ciò che può succedere, spesso questa seconda scelta può portare ad accedere a vissuti emotivi molto intensi trattenuti nella fascia.
Assomiglia molto all’esperimento di William James, il quale scoprì che sottoponendo l’uomo agli effetti di una forte eccitazione senza uno stimolo preciso, il nostro cervello attiva una sorta di relè che porta a interpretare l’esperienza o con una grande gioia, o con paura.
L’abilità dell’integratore posturale o di chi lavora con il corpo in generale sta proprio nel camminare su questo confine così labile tra il rifiuto e la fuga di vivere l’esperienza, e l’abbandono ad essa.
La direzione del lavoro richiede una forte presenza, sicurezza e determinazione da parte dell’operatore, per potere portare la persona nella direzione giusta sapendo entrare nei vissuti personali e contenerli allo stesso tempo.
Spesso il lavoro corporeo è inseparabile da un lavoro su tutto l’individuo, attraverso la manipolazione fasciale ed il respiro tutto il corpo viene reso più flessibile, elastico, aperto, e avviene di conseguenza un cambiamento nel proprio modo di sentirsi e di percepirsi.
Possiamo concentrare la nostra attenzione sul lavoro tecnico e muscolare, fermandoci se si manifestano espressività emotive come avviene ad esempio nel rolfing, o, al contrario, cercare il vissuto emotivo entrandone in contatto con attenzione. L’attenzione e la focalizzazione è la base dalla quale parte ogni intervento sulla persona. L’attenzione è ciò che cura, è come l’acqua per una pianta, il lenitivo per ogni ferita, e lo è anche nel lavoro sul corpo.
Tratto da https://www.integrazionefasciale.it/
Perché questo argomento sta diventando un interesse interdisciplinare di tutti i professionisti che si occupano di salute, benessere, e oggetto di riflessione e esplorazione per ricercatori, scienziati e neurofisiologi?
Partiamo dal presupposto che le più grandi scuole di pensiero umanistiche esistenziali, che hanno fondato modelli di cura destinati a fornire risposte concrete sull’essere umano, già nella prima metà del novecento si occupavano indirettamente di propriocezione. Basta pensare al semplice assunto in cui la visione della realtà, riconosciuta esclusivamente fonte di percezioni soggettive, è suscettibile al cambiamento solo attraverso una nuova prospettiva trasformazione interpretazione dell’ambiente percettivo.
Alcuni di questi furono Abraham Maslow o Carl Rogers, centrati nei loro modelli sulla comprensione empatica ed esistenziale dell’essere umano. Occorre citare anche Fritz Perls che, con la terapia della Gestalt, sintetizzò chiaramente quanto la visione di insieme di un singolo fenomeno, produce un risultato percettivamente diverso dalla somma di tutte le sue parti.
Ma qual è allora la percezione giusta, propriamente detta, ovvero la “propriocezione” della realtà in mezzo a così tante soggettività e commistioni di esperienze personali?
Interessante conoscere il ruolo del neurofisiologo Charles Scott Sherrington, uno dei primi a parlare di propriocezione attraverso lo studio dei riflessi e delle proprietà del sistema nervoso, il quale sconfinava i suoi interessi nella filosofia e nella scrittura, aperto all’aspetto più umano e visionario della persona. Immaginiamo quindi che l’aspetto umano e personale sia forse quello che più influenza l’ambito propriocettivo del reale.
A partire dai suoi studi infatti, si è potuto arrivare oggi alla concezione che il cervello non è solamente un organo recettivo ed esecutivo ma principalmente un apparato interpretativo, predittivo ed elaborativo, senza dimenticare l’aspetto anticipatorio e la sua capacità simulatoria. Questo è dovuto al fatto che le informazioni che vengono dal corpo e dall’ambiente sono talvolta informazioni poco chiare e sconnesse, che hanno bisogno di un’interpretazione, di una riformulazione o di una rivisitazione. Ciò avviene proprio il nostro cervello, la capacità di assumere questo compito varia in base a come si è sinapticamente o neuro plasticamente costituito in relazione alle esperienze.
Ogni individuo crescendo si è modellato all’ambiente, lo ha interpretato ed ha organizzato il suo sistema somato percettivo. Impegniamo normalmente canali sensoriali preferenziali nel rapporto con la realtà, e tratteniamo o eliminiamo talvolta informazioni sensoriali provenienti da altri canali.
Come esseri umani, a differenza degli animali che sopravvivono in base alla loro capacità omeostatica basata sulla preservazione di un equilibrio di valori fisiologici interni, modelliamo continuamente l’ambiente e lo adattiamo alla soddisfazione dei nostri bisogni personali.
Questo principio richiede una capacità anticipatoria dei bisogni e una preparazione interna a soddisfarli, ancora prima che essi compaiano. Anticipazione, adattamento, simulazione sono le parole chiave che ci contraddistinguono in una organizzazione efficiente del nostro organismo all’ambiente.
A questo punto l’aspetto più interessante è comprendere come proprio i recettori interstiziali che si trovano nel tessuto connettivo e nella fascia siano i diretti responsabili della maggior parte della nostra propriocezione elevando il tessuto connettivo al principale organo sensoriale del nostro corpo.
Network di ogni sistema, il connettivo è il canale attraverso il quale passano le fibre a delta, le fibre c, e parallelamente tutte le fibre sensoriali del nervo vago, nervo che comanda i visceri ma che è soprattutto il più importante nervo sensoriale.
La stimolazione del connettivo mette in moto una serie di informazioni che, passando dal tronco cerebrale, al nucleo del tratto solitario e ai collicoli superiori, arrivano sempre più verso la corteccia, al talamo e all’insula, fornendo in quest’ultima una serie di mappe del nostro organismo: mappe termiche, fisiche, emotive, chimiche elettriche psicologiche emotive e sociali, ecc…
L’organismo ha sempre bisogno di sapere cosa succede dentro di lui, per poi generare una nuova serie di informazioni che dalle cortecce tornano in periferia, e regolano organi, sistema nervoso e tutto il resto.
Pensiamo allora a come un lavoro fasciale possa aiutarci a conoscere il nostro organismo e a tollerare le sue modificazioni, senza generare ansia, come possa aiutare l’essere umano a sopportare sempre più evidenti integrazioni migliorando la possibilità di adattarsi all’ambiente, di conoscerne gli effetti, e di accettare il cambiamento.
Persino la percezione della propria età soggettiva ha effetti sulla salute, sottolinea Bottaccioli al recente convegno sulla propriocezione tenuto a Milano. Come percepiamo il nostro corpo e lo pensiamo ha effetti addirittura sulla longevità.
Possiamo ritenerci fortunati di avere uno strumento così potente come il lavoro di integrazione fasciale che non solo ci permette di agire sulla forma e sulla struttura, riportando il corpo ad un equilibrio che soddisfi i canoni della salute e del benessere, ma che permetta di percepirci in forma più completa, integrando informazioni utili alla nostra integrità ed evoluzione personale.
Scritto da Marco Montanari
Psicologo, Psicoterapeuta e ideatore dell’Integrazione Fasciale
Tratto da https://www.integrazionefasciale.it/
Tango e Terapia Posturale Globale Metodo Raggi – Pancafit
Tango: questione di tensione!
Ballare Tango è senza dubbio difficile sia per l’uomo che per la donna.
Per l’uomo le difficoltà maggiori sono legate alla capacità di trasmettere in modo chiaro, corretto e fluido il comando di un passo, oltre a dover scegliere il passo da comunicare nel rispetto del tempo musicale; per la donna la difficoltà è saper ascoltare quello che l’uomo cerca di comunicarle per eseguire la figura o la sequenza dei passi nel modo più elegante e fluido.
Ecco la parola magica Fluidità che ha come sinonimi scorrevolezza,scioltezza, agilità, eleganza tutte caratteristiche che differenziano i ballerini di tango. Al contrario di fluidità possiamo usare i termini goffaggine, fissità,durezza e rigidità.
Fissità, durezza e rigidità sono collegati alla tensione muscolare.
Entriamo nello specifico.
Parliamo di Tensione Muscolare.
E’ importante sapere che nel nostro corpo esiste una tensione di base o tono di base dei muscoli che li mantiene attivi, “accesi”, pronti all’azione, ad attivarsi quando noi lo richiediamo.
Ma chi gestisce e controlla la tensione muscolare?
Tanto è importante il suo controllo che, nel nostro corpo, esiste addirittura un intero sistema che lo gestisce chiamato “Sistema Tonico Posturale. (S.T.P.) cioè un sistema che in ogni momento modula lo stato di tensione dei muscoli a secondo della situazione o movimento che deve attuare o gestire.
Infatti il S.T.P. ha il compito di lottare contro la gravità, opporsi alle forze esterne, mantenere l’equilibrio sia in statica che in movimento.
Il S.T.P. riceve informazioni dall’ambiente esterno attraverso tre sistemi di percezione e precisamente: visivo (vedere), uditivo (sentire), cinestesico (tatto) e dall’ambiente interno propiocettivo (sentire il corpo).
Tutte queste informazioni vengo inviate al cervello che le valuta, le elabora e organizza una risposta adatta alla situazione rispondendo a tre leggi fondamentali:
- massimo rendimento
- minimo sforzo
- assenza di dolore.
Quindi anche la fluidità di un movimento è legata alla capacità del nostro Sistema Tonico Posturale di saper coordinare tra loro le contrazioni e le decontrazioni dei muscoli.
E’ ormai provato che nell’attuale società le difficoltà maggiori che incontra l’essere umano è il “sapersi lasciare andare”. Il nostro tono muscolare di base è spesso troppo alto (ipertono) e risulta quindi più difficile avere la capacità di chiedere al corpo o ad una parte del corpo di ridurre al minimo quella tensione muscolare che rischia di frenare i movimenti.
Nella mia esperienza di ballerino di tango ma soprattutto di insegnante, uno degli elementi più difficili da trasmettere è il concetto di rilassamento muscolare, di morbidezza, soprattutto quando per esempio dobbiamo comandare alla donna un voleo, oppure un planeo un rebote o un gancio tutti elementi che per essere eseguiti richiedono una grande capacità da parte della donna di lasciare andare la gamba in modo libero, senza controllo apparente . Questo è facilmente osservabile da fuori ma anche percepibile mentre si balla. E’ netta la sensazione da parte del ballerino del diverso movimento per esempio della gamba rilassata rispetto ad un movimento forzato, come è diverso un comando fluido dell’uomo rispetto ad uno rigido eseguito di scatto.
Più il movimento risulterà libero, sciolto e fluido e migliore sarà la sua qualità, e per la donna sarà un piacere farsi portare con dolcezza da parte dell’uomo.
Dietro a tutto questo il nostro Sistema Tonico Posturale compie un lavoro infinito, continuo, instancabile. Pensate solo per un istante alle migliaia, forse centinaia di migliaia di informazioni che si muovono al secondo nel nostro corpo in ogni gesto che decidiamo di fare.
Più avremo coscienza di quello che gli chiediamo di fare più saremo capaci di capire dove sono i nostri limiti.
Il tango da questo punto di vista è senza dubbio terapeutico perché invita le persone ad un ascolto profondo del proprio stato di tensione, e ti obbliga per un momento a lasciarti andare, a lasciar fuori tutti quegli elementi disturbatori che non fanno altro che alterare o inibire le capacità di rilassamento.
Un consiglio: Quando ballate il tango lasciatevi guidare dalle note, e lasciate che i due corpi comunichino tra di loro con messaggi chiari, decisi rilassati e fluidi e se mentre ballate vi arrivano pensieri che nulla c’entrano con il tango mandateli indietro: potrebbero alterare lo stato di tensione ai vostri muscoli. Fate 5 bei respiri liberatori e rituffatevi nell’atmosfera tanghera!
Buon Tango !
Biografia
Paolo Beretta:
Massofisioterapista Chinesiologo.
Diploma nazionale CSEN settore postura e benessere.
Tecnico di riequilibrio posturale Metodo Raggi® con Pancafit®.
Master Pancafit®.
Insegnate di educazione fisica, e per 15 anni allenatore di pallavolo a livello nazionale.
Da 10 anni organizzo conferenze presso associazioni culturali e federazioni sportive in ambito postura e benessere.
Ho collaborato come docente in corsi di formazioni professionali di “Allungamento Muscolare Globale Decompensato Metodo Raggi®”.
Diploma in Postural Training Mezieres.
Insegnante di Visotonic autolifting del viso.
Insegnante di Tango Argentino presso Cral del Comune di Milano.
Se volete contattarmi:
- Paolo Beretta
- Zoe Olistic
- paoloberetta@zoeolistic.it
- www.zoeolistic.it
Il tango: questione di asse!
Quando balliamo il tango soprattutto quando eseguiamo delle figure o delle combinazioni di figure dobbiamo avere un forte senso dell’equilibrio,ma non sempre è così facile. Come mai?
E’ stato il comando che non è stato dato in modo corretto, con la tempistica corretta, oppure non è stato percepito dalla compagna al momento giusto e i corpi si sono mossi con tempi diverse creando uno sbilanciamento?
A volte è tutto questo, ma a volte può dipendere dalla difficoltà di mantenere da parte dei ballerini l’asse di equilibrio del proprio corpo corretto e indipendente dall’altro.
In effetti basta uno sbilanciamento della testa in avanti (per esempio se guardiamo i piedi) oppure uno spostamento del bacino indietro o della gamba che perde il contatto con il terreno ed ecco che le masse del corpo escono dalla propria base di appoggio e il ballerino o la ballerina, perdendo l’equilibrio, tendono ad appoggiarsi sul partner o aumentano la tensione muscolare irrigidendosi e perdendo fluidità.
Scoprire la causa iniziale risalendo al momento dell’insorgenza del problema o rigidità ricordando se prima è capitato qualche episodio importante (tipo trauma-evento stressante ecc).
Scoperta l’eventuale causa cercare di agire per rimuoverla e al tempo stesso eseguire degli esercizi di mobilità articolare e stretching.
Questa capacità di mantenere il proprio asse sempre in equilibrio è facilmente rilevabile quando ci capita di ballare con una maestra o un maestro dove la sensazione di indipendenza dei corpi, ma soprattutto di non gravare sull’altro mentre si balla, permette di eseguire in maniera semplice fluida e senza sforzo la figura o semplicemente camminare.
Ma anche un problema posturale potrebbe influire negativamente sul mantenere il proprio asse.
La capacità di equilibrio potrebbe dipendere anche dalla postura che il corpo ha o può assumere, dalla capacità di ognuno di noi di rilassare la muscolatura o di avere la muscolatura con un tono muscolare normale e non in ipertono.
Potremmo trovare delle posture come quelle sotto riportate ed è facilmente intuibile che mantenere un proprio equilibrio senza gravare sull’altro e senza dubbio più difficile.
Quindi un consiglio che mi sento di dare a tutte quelle coppie che a volte si trovano in difficoltà nel ballo è di iniziare per esempio a valutare il proprio assetto posturale e nel caso di importanti alterazioni intervenire in modo specifico per migliorarle.
Eseguire esercizi di percezione del proprio asse, imparare ad ascoltare il nostro corpo con le proprie caratteristiche individuali e lavorare con esercizi specifici sia di tecnica maschile e femminile che di coppia. E ovviamente praticare, praticare, praticare!!!
Questa è senza dubbio la migliore medicina per ritrovare il proprio asse e sentirete come il vostro modo di ballare diventerà fluido.
Buon Tango
Biografia
Paolo Beretta:
Massofisioterapista Chinesiologo.
Diploma nazionale CSEN settore postura e benessere.
Tecnico di riequilibrio posturale Metodo Raggi® con Pancafit®.
Master Pancafit®.
Insegnate di educazione fisica, e per 15 anni allenatore di pallavolo a livello nazionale.
Da 10 anni organizzo conferenze presso associazioni culturali e federazioni sportive in ambito postura e benessere.
Ho collaborato come docente in corsi di formazioni professionali di “Allungamento Muscolare Globale Decompensato Metodo Raggi®”.
Diploma in Postural Training Mezieres.
Insegnante di Visotonic autolifting del viso.
Insegnante di Tango Argentino presso Cral del Comune di Milano.
Se volete contattarmi:
- Paolo Beretta
- Zoe Olistic
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La Dissociazione
Spesso a lezione sentiamo parlare dai maestri di Tango di “Dissociazione del tronco” movimento a cui è interessato sia il ballerino che la ballerina.
Ma quali insidie nasconde per la nostra schiena?
Dissociare il tronco vuol dire creare una torsione del busto rispetto al bacino o alle gambe.
Mentre balliamo un tango dissociare vuol dire rimanere con le spalle sempre rivolte al nostro ballerino/a mentre il bacino o le gambe eseguono un movimento in direzione diversa rispetto al busto o viceversa.
Questa azione non sempre risulta facile sia da coordinare che da eseguire.
La causa più comune potrebbe essere la difficoltà della colonna vertebrale di ruotare sul proprio asse (torsione) soprattutto nel tratto lombo-sacrale, dovuta spesso a rigidità muscolare che a sua volta può creare rigidità articolare.
Un po’ di anatomia!
I movimenti di torsione, come tutti i movimenti del corpo, sono legati ad un’azione muscolare e in questo caso i muscoli principali che intervengono sono: il quadrato dei lombi, lo psoas iliaco, i multifido (muscoli profondi della colonna vertebrale), il muscolo obliquo esterno e interno.
La loro azione coordinata determina la rotazione e l’inclinazione laterale del busto.
Se uno o più di uno di questi muscoli con il tempo dovessero diventare rigidi agirebbero come dei freni limitando perciò la mobilità di tutto il tronco, non solo nei movimenti di rotazione, ma anche di flessione anteriore.
Altro elemento da non sottovalutare è che tutte le volte in cui eseguiamo una rotazione del busto tra una vertebra e l’altra aumenta la pressione infradiscale e, se tale movimento viene ripetuto molte volte, la compressione potrebbe dare origine nel tempo a discopatie, protrusioni o nelle peggiori delle ipotesi a ernie discali.
Ma non solo, con il tempo potrebbero scatenarsi lombalgie e lombosciatalgie.
Tra gli sportivi quelli che rischiano maggiormente sono i tennisti e i golfisti perché è insito nello sport il movimento di torsione del busto.
Per i tangheri il rischio è ridotto ma la difficoltà nell’eseguire correttamente e in modo fluido un ocho indietro o avanti, un voleo, il movimento fluido della gamba in un planeo per la donna o eseguire un giro per l’uomo potrebbero dipendere da quanto la struttura muscolo scheletrica della colonna vertebrale risulta rigida o flessibile.
Le cause della rigidità
La rigidità tratto lombo-sacrale, se presente, potrebbe dipendere da molti fattori del passato per esempio posizioni lavorative sbagliate, eccessivi sovraccarichi, traumi, problematiche intestinali, stress, tutti elementi che determinano un aumento delle tensioni muscolari prima e delle rigidità poi.
Come capire il problema?
Per esempio la presenza del dolore nella zona lombare che si acutizza quando eseguiamo delle torsioni. Oppure eseguendo dei test di mobilità articolare sia del tronco che del bacino in posizione eretta o sdraiata.
Come aiutare il problema?
Scoprire la causa iniziale risalendo al momento dell’insorgenza del problema o rigidità ricordando se prima è capitato qualche episodio importante (tipo trauma-evento stressante ecc).
Scoperta l’eventuale causa cercare di agire per rimuoverla e al tempo stesso eseguire degli esercizi di mobilità articolare e stretching.
Cosa fare
Si possono eseguire alcuni test di mobilità ed esercizi di stretching da fare in coppia.
Tali schemi vogliono essere solamente uno stimolo a farvi iniziare a lavorare.
Il mio consiglio, per scegliere i lavori più adatti ad ognuno di voi, è di rivolgersi sempre a personale qualificato come posturologi, chinesiologi, personal trainer per lo studio di un programma personalizzato.
Non disperate: i cambiamenti nel corpo si possono ottenere a qualsiasi età.
Impegno costante e ripetuto nel tempo sono gli elementi fondamentali per raggiungere dei risultati.
Buon Tango
Biografia
Paolo Beretta:
Massofisioterapista Chinesiologo.
Diploma nazionale CSEN settore postura e benessere.
Tecnico di riequilibrio posturale Metodo Raggi® con Pancafit®.
Master Pancafit®.
Insegnate di educazione fisica, e per 15 anni allenatore di pallavolo a livello nazionale.
Da 10 anni organizzo conferenze presso associazioni culturali e federazioni sportive in ambito postura e benessere.
Ho collaborato come docente in corsi di formazioni professionali di “Allungamento Muscolare Globale Decompensato Metodo Raggi®”.
Diploma in Postural Training Mezieres.
Insegnante di Visotonic autolifting del viso.
Insegnante di Tango Argentino presso Cral del Comune di Milano.
Se volete contattarmi:
- Paolo Beretta
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- paoloberetta@zoeolistic.it
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Tango Postura e Diaframma: quale correlazione?
In questo articolo parlerò in maniera approfondita del diaframma e delle sue correlazioni con la postura.
Nella mia esperienza di posturologo ho potuto rilevare come problemi e dolori quali lombalgie- lombosciatalgie- protrusioni discali ecc, spesso sono legati ad un non corretto funzionamento del diaframma.
Per questo gioca un ruolo fondamentale lo stress e mai come in questo momento storico i fattori stressanti che possono colpire l’essere umano sono molteplici.
Infine se pensiamo che il muscolo diaframma è il primo muscolo che mettiamo in moto quando nasciamo e l’ultimo che si ferma è chiaro come il suo ruolo sia fondamentale nella nostra vita.
Ecco perché avere qualche informazione specifica potrebbe aiutarvi a scoprire qualcosa di nuovo su di voi.
Come già accennato nell’articolo di Marzo il termine postura indica un modo di essere e di vivere, un atteggiamento, un modo di stare in piedi, di camminare, di respirare di ballare.
E’ il frutto di un insieme di esperienze, traumi, dolori, ipocinesie, ipercinesie, tensioni, stress,problematiche respiratorie che, strutturandosi giorno dopo giorno, determina il nostro aspetto. Per questo ciascuno di noi ha una propria postura specifica, perché essa è il risultato del nostro vissuto e di tutte le nostre esperienze.
In questo lungo processo, grande attore protagonista è il diaframma, muscolo principale della respirazione, situato fra torace e addome, a forma di grande cupola asimmetrica. Essendo costituito da tessuto muscolare, esso è soggetto alle stesse leggi di qualsiasi altro muscolo.
Nel corso del tempo a causa di stress, tensioni prolungate, un’attività fisica inadeguata, ansie ed angosce, anche il diaframma diventa “retratto”e può quindi diventare responsabile di dolore (algie).
Ma come può avvenire ?
Ciò avviene perchè ogni muscolo è capace, nelle sue funzioni quotidiane, unicamente di contrarsi e decontrarsi. Cioè non è assolutamente in grado di “riallungarsi”, di riportarsi in modo autonomo nella posizione originale, se non per mezzo del muscolo antagonista.
Ciascuno di noi ha avuto modo di osservare, e magari sperimentare, come un qualsiasi muscolo venga progressivamente limitato nelle sue funzioni e nella possibilità di movimento, nel caso in cui si trovi costretto a rimanere per troppo tempo fissato in una posizione (come ad es. un braccio ingessato o una parte del corpo immobilizzata per una frattura).
Quando un muscolo è rimasto troppo a lungo contratto, passa alla condizione fissa di “retratto”, cioè definitivamente accorciato, per cui non riuscirà più a “riallungarsi” per mezzo del muscolo antagonista, ma solo ed unicamente con particolari tecniche di “allungamento muscolare globale decompensato”. Inoltre, poiché ogni muscolo scavalca almeno un’articolazione, se diventa “retratto” svilupperà inevitabilmente azioni di compressione su quell’ articolazione.
A questa legge non sfugge neppure il diaframma; se le sue fibre sono diventate retratte, significa che i suoi estremi si sono dovuti ravvicinare, così che ne risulterà inevitabilmente anche una modificazione delle sue funzioni. La cupola si ritroverà più bassa e tesa rispetto alla posizione ideale e la sua capacità ventilatoria verrà inevitabilmente modificata; quindi la sua funzione risulterà compromessa.
In che modo?
- Un diaframma teso e retratto, oltre al fatto primario di perdere una parte della sua “corsa”, comprimerà costantemente lo stomaco,andando a disturbare le sue funzioni. Un punto limite per tale disturbo potrebbe essere l’ernia jatale.
- Un diaframma retratto creerà compressioni su tutto l’apparato digerente, disturbandone le funzioni; infatti comprimendo l’addome, si creano congestioni, che determinano spesso difficoltà al circolo venoso nella sua risalita dagli arti inferiori.
- Il diaframma, essendo intimamente connesso al cuore attraverso il legamento freno-pericardico, quando è teso traziona tale legamento più in basso del dovuto, creando sgradevoli sensazioni nella zona cardiaca (disagi e dolori).
- La colonna vertebrale verrà disturbata perché il diaframma si inserisce su di essa attraverso i suoi potenti pilastri nella zona lombare potendo creare a lungo andare anche compressioni, protrusioni, ernie discali. Per questo motivo, ad esempio, alcune persone rimangono con la schiena bloccata durante uno starnuto.
- Se il diaframma agisce scorrettamente, col tempo il torace stesso potrà deformarsi.
- Ma una scarsa funzione del diaframma, che significa in primo luogo scarsa respirazione, obbligherà i muscoli respiratori accessori del collo e delle spalle ad agire al posto del diaframma stesso. Questo continuo sovraccarico di lavoro e di tensione per i muscoli accessori, che in realtà è previsto solo in particolari casi (corsa, sforzo fisico, etc.), provocherà inevitabilmente la compressione e lo schiacciamento di tutto il tratto cervicale. E se le cervicali vengono deformate, si scateneranno seri problemi alle spalle ed al collo: cervicalgie, artrosi, protrusioni, cervico-brachialgie, spalle dolorose, etc.
Cosa fare
Cercare di risalire alla causa che potrebbe aver alterato il funzionamento del diaframma e cercare di rimuoverla. Ma non solo.
Esistono tecniche di massaggio e automassaggio per liberarlo ma anche esercizi sulla respirazione. ( Ci sono tante tecniche che ci possono venire in aiuto come per esempio lo yoga, la ginnastica posturale, ecc).
Un consiglio molto pratico
Alla sera sdraiati sul letto supini (pancia in su) eseguite delle respirazioni facendo entrare l’aria dal naso gonfiando contemporaneamente l’addome ed espirare buttando fuori l’aria come se fosse un sospiro di sollievo a bocca bene aperta. Dopo aver svuotato fare una piccola pausa (1-2 secondi ) e rifare un’altra respirazione.
In totale eseguite 15 respirazioni.
Importante è non respirare velocemente per non rischiare di avere dei giramenti di testa per la troppa ossigenazione.
Perché ballare Tango
Ballare il tango è certamente un modo per dimenticare per un attimo i nostri problemi, i nostri stress. L’atmosfera della milonga rilassa le nostre tensioni che inevitabilmente possono colpire i nostri muscoli diaframma compreso.
La musica è energia positiva che possiamo trasmettere mentre guidiamo la dama o ci facciamo guidare da un cavaliere.
Ascoltare i comandi ed eseguire una qualsiasi figura richiede armonia, fluidità e questa la si ottiene solo se siamo rilassati.
E se siamo rilassati anche il vostro diaframma lo sarà.
Ecco un altro motivo per non smettere mai di ballare il Tango.
Buon Tango
Biografia
Paolo Beretta:
Massofisioterapista Chinesiologo.
Diploma nazionale CSEN settore postura e benessere.
Tecnico di riequilibrio posturale Metodo Raggi® con Pancafit®.
Master Pancafit®.
Insegnate di educazione fisica, e per 15 anni allenatore di pallavolo a livello nazionale.
Da 10 anni organizzo conferenze presso associazioni culturali e federazioni sportive in ambito postura e benessere.
Ho collaborato come docente in corsi di formazioni professionali di “Allungamento Muscolare Globale Decompensato Metodo Raggi®”.
Diploma in Postural Training Mezieres.
Insegnante di Visotonic autolifting del viso.
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Il Tango migliora la postura o una buona postura permette di ballare meglio il tango?
E’ una domanda che come posturologo e come appassionato di tango mi sono posto e alla quale cercherò di rispondere.
Ma andiamo con ordine.
Inizierei con la definizione di Postura.
La postura è la posizione che le diverse parti del corpo assumono nello spazio in una costante ricerca di equilibrio cercando di ottenere il massimo rendimento con il minor dispendio energetico in Assenza di Dolore!!
Esiste una postura di riferimento corretta che ci dice che se il corpo rispettasse tutti i parametri ideali, riusciremmo a muovere i segmenti corporei al massimo della loro escursione articolare, senza usura, dolore e con la minima fatica.
Però la postura può essere influenzata da moltissimi fattori.
Traumi, stress, posizioni lavorative scorrette, attività fisica intensa, sedentarietà; problemi intestinali, difficoltà respiratorie (asma; setto nasale deviato, adenoidi), problemi alla masticazione, problemi agli occhi, ecc.
La postura è anche strettamente collegata alla vita emotiva, è espressione di un vissuto ereditato, è il modo in cui respiriamo, come stiamo in piedi, come ci relazioniamo rispetto a noi stessi e agli altri:
La nostra postura è l’espressione della nostra storia
(D.Raggi 1988)
Ognuno di questi elementi può agire sulle tensioni muscolari, aumentandole, modificando così l’assetto del corpo rendendolo più rigido, più corto, più compresso, arrivando a stortarlo (scoliosi)
Tale compressione protratta nel tempo può essere causa di protrusioni, ernie discali, artrosi all’anca, e sfociare nel dolore. Lombalgie-Sciatalgie- Cervicalgie- Epicondiliti- Dolori articolari in genere-ecc.
Il corpo rigido possiamo paragonarlo ad una macchina con il freno a mano tirato e storto come una scorretta convergenza. Se muovessimo la macchina con il freno tirato e con la convergenza fuori assetto, faremmo più fatica, consumeremmo più benzina e usureremmo maggiormente le parti meccaniche.
Lo stesso vale per il nostro corpo. Quindi ballare tango con una struttura rigida e “storta”potrebbero consumarlo maggiormente.
Ballare il tango implica al corpo l’assunzione di una postura, determinata anche dallo stile che vogliamo adottare (milonghero, salon, tango nuevo).
Tale posizione può nascondere però delle insidie che analizzeremo nei prossimi articoli ma non solo, l’esecuzione di molte figure potrebbe essere influenzata dalla nostra postura.
CONCLUSIONI
Dalla mia esperienza ho appreso che se il corpo ha una buona postura avrà sicuramente dei benefici nel saper gestire e affrontare le diverse posture che il tango impone.
Ballare tango non migliora la postura.
Ma più il corpo sarà libero, elastico e disponibile migliore sarà la postura che potrà assumere per ballare ed esprimere la sensualità, l’eleganza e l’armonia di una coppia di ballerini.
Non solo, più lo manterrete libero più vivrete con meno Dolori!
Buon Tango!
Biografia
Paolo Beretta:
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L’abbraccio: Quali insidie nasconde
Consigli utili
In questo primo articolo analizzerò la posizione base (postura) per iniziare a ballare un tango l’abbraccio.
Si possono identificare due problematiche che l’abbraccio potrebbe comportare se protratte a lungo nel tempo.
In primo luogo la posizione sbilanciata in avanti della donna, favorita anche dall’ utilizzo delle scarpe con il tacco.
Tale posizione crea un sovraccarico sugli avampiedi con compressione delle teste metatarsali (vedi schema e radiografia sotto) creando dolori ai piedi o patologie quali il Neuroma di Morton o Metatarsalgie (infiammazione del metatarso).
Lo sbilanciamento determina anche un aumento della curva della colonna vertebrale nel tratto lombare con conseguente compressione delle vertebre (Iperlordosi lombare).
L’iperlordosi nel tempo potrebbe creare lombalgie, lombosciatalgie, mal di schiena.
Per l’uomo queste problematiche difficilmente si evidenziano visto l’utilizzo anche nella vita comune di scarpe con tacco basso.
Sempre nell’abbraccio il secondo elemento da valutare è la posizione delle braccia, sia per l’uomo che per la donna, obbligate a stare sollevate.
La posizione, grazie all’azione muscolare del deltoide e del trapezio, potrebbe creare tensioni prima, rigidità e dolori poi, al collo, alle spalle fino ad interessare tutto l’arto superiore.
Non spaventatevi! Ecco alcuni consigli per aiutare il corpo a ristabilire i giusti equilibri.
Per i piedi 3 consigli utili:
- Fare dei pediluvi con acqua calda e bicarbonato o sale grosso (fig.1) e massaggiarsi i piedi con olio di ricino caldo per 10 minuti prima di andare a letto.
- Massaggiarsi le piante dei piedi con una pallina di gomma almeno 5 minuti per piede stando seduti comodamente su una sedia (fig.2)
- Utilizzare per 30 minuti al giorno dei separadita senza camminarci sopra (fig.3)
Per le braccia prendere le posizioni indicate nelle figure 4-5-6.
Per il collo gli esercizi delle figure 7-8-9.
Per tutti gli esercizi mantenere la posizione per 15 respiri con respirazione addominale e ripeterli per almeno tre serie.
Buon lavoro e Buon Tango!!
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Mal di schiena dopo i festeggiamenti e le serate in milonga?
Cari tangheri se in questi giorni avete sofferto, voi o vostri conoscenti, di insoliti mal di schiena leggendo questo articolo potreste trovare una risposta.
Spesso succede che dopo i pranzi, le cene natalizie e i cenoni di fine anno insorgano inaspettati mal di schiena, colpi della strega o lombalgie.
Vi siete mai chiesti perché?
Iniziamo con ordine cercando di capire quali sono i fattori che possono causarlo.
Il mal di schiena è una patologia la cui origine è legata a diversi fattori che possono interessare la sfera fisica, psicologica e sociale. Da una recente ricerca è emerso che in Italia soffrono sporadicamente di problemi alla schiena circa 15 milioni di persone, delle quali oltre due milioni in maniera cronica.
La causa più comune sembra essere la tensione generata da posture errate protratte nel tempo ma non solo.
Il mal di schiena raramente è legato a problemi alle ossa mentre, nella maggioranza dei casi, è legato a difficoltà di funzionamento di una componente della schiena, che può essere a carico dei muscoli, dei legamenti, del disco intervertebrale, degli organi ad essa collegati, etc.
Il mal di schiena deve essere considerato come un segnale che il corpo invia per indicare che qualcosa a livello della colonna vertebrale non funziona correttamente.
Ma vi chiederete: Cosa c’entrano le grandi “abbuffate” natalizie con il mal di schiena?
In genere in queste occasioni eccediamo con il cibo oltre misura creando un disequilibrio a volte per il nostro fisico inaspettato come se introducessimo “nella macchina il carburante non idoneo con il rischio di far grippare il motore”.
L’eccesso può causare uno stato infiammatorio dell’intestino anche temporaneo che si ripercuote sugli organi e muscoli vicini.
L’immagine mostra il muscolo psoas (freccia nera), che possiede importanti rapporti anatomici con organi e strutture vitali, tra cui il colon ascendente (a destra) e discendente (a sinistra), e il muscolo iliaco (freccia blu) che è in rapporto con l’intestino cieco e appendice a destra e colon discendente a sinistra.
Se l’intestino si infiamma questo trasmette l’infiammazione per contatto all’ ileo psoas il quale per difesa si contrae ed essendo lui attaccato alle prime quattro vertebre lombari e all’ultima toracica può creare compressione e conseguente dolore.
Non è solo l’eccesso di cibo in particolari occasioni che può provocare mal di schiena, ma la maggior parte delle patologie dell’apparato digerente quali stipsi, colite, colon irritabile, gastrite, possono concorrere all’insorgere di dolori della colonna vertebrale.
IL MIO APPROCCIO COME POSTUROLOGO
Il rimedio fondamentale resta la prevenzione che si basa in primo luogo sull’acquisizione di corrette abitudini educando il paziente ad una esatta postura ed ad uno stile di vita più sano tra cui l’alimentazione ha un ruolo fondamentale.
Dove necessario intervengo con terapie individuali mirate alla ricerca e alla rimozione della causa del mal di schiena. Nel caso specifico si possono effettuare trattamenti di stretching dell’ileo-psoas in postura globale decompensata allo scopo di ricreare i corretti equilibri muscolo tensivi che porteranno ad un graduale miglioramento della sintomatologia dolorosa.
Biografia
Paolo Beretta:
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ATM, lingua e postura: quali collegamenti?
L’articolazione temporo-mandibolare
L’ATM è un’articolazione che funge da cardine e da cerniera tra i due mascellari superiore e inferiore, rendendo possibili i movimenti della mandibola rispetto al cranio. È gestita da una serie di muscoli il cui scopo è fare aprire e chiudere la bocca e gestire i rapporti fra le due arcate dentarie durante la masticazione, la deglutizione, la fonazione, la respirazione. Tutti questi muscoli non esauriscono la loro funzione con quanto detto, ma di fatto interagiscono con il cranio, il collo, la lingua, lo ioide e indirettamente con tutte le catene muscolari del corpo e con il diaframma, il regista di tutte le catene.
Dati questi legami e rapporti fra le varie parti del corpo attraverso le catene neuro-mio-fasciali, ogni elemento di disturbo che “entri nel sistema” ha il potere di perturbare tutte le parti che lo compongono. Semplici vizi posturali, traumi, cicatrici, assenza di denti, otturazioni, protesi inadeguate, galvanismi, deglutizioni viziate, ecc… hanno il potere di causare alterazioni della “postura mandibolare” e poi a cascata dell’intero sistema posturale: un circolo vizioso.
Tra i disturbi più comuni associati a malocclusioni dentali e patologie relative all’ATM vi sono:
-
- dolori cranio-facciali, alla nuca, al collo e alle spalle;
- dolore del rachide e in particolar modo del tratto cervicale e lombare;
- dolori alle ginocchia;
- modificazione e adattamento dell’appoggio podalico;
- alterazioni posturali sul piano sagittale, frontale, ecc…
Difficile stabilire cosa potrebbe non essere coinvolto. (D Raggi, M. Dompé, & L. Benedetti, 2003).
La lingua
All’interno del sistema odonto-stomatognatico, un altro muscolo che gioca un ruolo fondamentale è la lingua, un complesso di 16 muscoli coordinati al fine di poter deglutire, fonare e aiutare la masticazione. Gesti quotidiani, automatici, ma non certamente da sottovalutare. Un loro engramma alterato, anche se di scarsa o piccola importanza, ripetuto infinite volte, acquisisce il potere di causare a cascata grandi disagi. L’influenza posturale di questo piccolo muscolo è data dalla sua struttura articolata e dalle sue relazioni con i muscoli vicini che ne permettono il collegamento alla mandibola, al cranio, agli occhi ,all’osso ioide, alle spalle, alle cervicali.
La stretta connessione tra lingua e postura comincia già dalla gestazione, al punto tale che già alla tredicesima settimana di vita intrauterina la lingua deve essere pronta per la suzione. Durante la gestazione, la suzione del pollice ha il compito di modellare le arcate dentali e di sviluppare la mascella e la mandibola; dopo la nascita, invece, e fino almeno ai primi sei mesi di vita, l’allattamento al seno dovrebbe essere fonte di nutrimento esclusiva, non solo per motivi biochimici e di relazione con la madre, ma anche per apprendere il corretto movimento della lingua che servirà ad “elaborare ” il processo deglutitorio e parallelamente a stimolare una particolare zona del palato, detta “spot”. Tale area, ricca di ben 5 tipi di recettori nervosi, è estremamente importante per le sue connessioni neurofisiologiche e quindi per il corretto sviluppo della coordinazione, del movimento, della cascata ormonale, dell’attenzione, della memoria e tanto altro ancora. Uno svezzamento troppo precoce, condizione purtroppo frequente nella frenetica società di oggi, unito all’uso di ciucci e biberon inadeguati, comporta il non rispettare i tempi fisiologici del bambino e concorre all’instaurarsi di uno schema deglutitorio viziato.
È imperativo dunque correggere certi atteggiamenti viziati per evitare, nel tempo, tutta una serie di problemi. Una deglutizione atipica può addirittura portare ad alterazioni dell’udito e alla presenza costante di muco nelle trombe di Eustachio (i canali tra orecchie e faringe atti alla regolazione della pressione). (Raggi, 2008)
La lingua spesso è causa primaria di deglutizione viziata quando presenta un frenulo corto anatomico, una condizione che insorge fin dalla nascita e che se non trattata genererà ipertono su tutta la catena muscolare antero-mediana (o linguale), coinvolgendo il diaframma e i visceri. Potrebbe generare tensioni cervicali importanti per effetto di un’azione vicariante che il tratto cervicale si troverà costretto a svolgere in assenza di un corretto movimento linguale. Considerando che tutto è collegato con tutto e che ciascuno ha una propria “storia posturale” ogni frenulo linguale corto potrebbe causare effetti diversi.“È possibile che problematiche posturali manifestate in altri distretti corporei si riflettano su bocca, lingua e atm, come per esempio nel caso di un colpo di frusta; da non escludere anche cause di altro tipo, come fattori mentali, psicologici, ansie, stress…tutti elementi che contribuiscono a uno scoordinamento condilo-meniscale, originando bruxismo e sintomatologie dolorose…” (D. Raggi, M. Dompé, & L. Benedetti, 2003)
Spine irritative silenti e galvanismi
Vi possono essere anche “spine irritative silenti” in grado di alterare la deglutizione, come per esempio un dente mancante, un’otturazione non corretta, una malocclusione, un morso aperto/profondo/crociato, la presenza di campi galvanici nella cavità buccale. Questi ultimi, in particolare, rappresentano un fenomeno oggi molto diffuso: si tratta della presenza di una corrente generata da metalli (impianti di titanio, corone in metallo, amalgame, piercing, etc.). Essendo la lingua un muscolo estremamente sensibile, essa è in grado di avvertire anche la più piccola corrente, obbligando il cervello a elaborare una risposta motoria di difesa h24: anche nel caso in cui l’intensità del fenomeno non sia percepibile coscientemente, la lingua cercherà continuamente di sfuggirvi spostandosi in direzione opposta rispetto a dove si genera il galvanismo. Lo stesso avviene in presenza di retainer. E dato che ogni muscolo “impara ciò che gli viene insegnato”, qualora il disagio dovesse persistere a lungo, la lingua tenderà a deformarsi e a strutturarsi permanentemente in torsione/rotazione o in altri atteggiamenti alterati con ripercussioni che ancora una volta andranno a influire su collo, gola, vertebre cervicali, ecc. (Raggi, 2008)
Allo stesso modo, per le connessioni che intercorrono tra i muscoli del corpo, organizzati come già visto in catene muscolari, è possibile che problematiche posturali manifestate in altri distretti corporei si riflettano su bocca, lingua e atm, come per esempio nel caso di un colpo di frusta; da non escludere anche cause di altro tipo, come fattori mentali, psicologici, ansie, stress… tutti elementi che contribuiscono a uno scoordinamento condilo-meniscale, originando bruxismo e sintomatologie dolorose con o senza clic articolari, fino ad arrivare a episodi di blocco, anche detti lock mandibolari. (D. Raggi, M. Dompé, & L. Benedetti, 2003)
Come agire in studio
Dal momento che qualsiasi problematica si trasmette inesorabilmente a ogni parte del corpo e che è necessario risalire alla causa originaria della “stortura” per risolverla definitivamente, l’analisi posturale del paziente deve avvenire a 360°. Si procederà quindi a effettuare le seguenti osservazioni:
-
- Linea di Barré
- Valutazione delle linee su ogni fronte per verificare l’armonia della linea bipupillare, delle spalle, del bacino, ecc.
- Valutazione della mobilità articolare generale
- Valutazione dell’assialità del mento e della mandibola in statica e in dinamica
- Valutazione dei condili dell’ATM attraverso la palpazione dall’esterno dei movimenti dell’ATM, rilevando eventuali scrosci o blocchi
- Test di deglutizione
- Test chinesiologico di intolleranza di un’amalgama, di una protesi o di un dente mancante e misurazione con tester per il galvanismo
- Ma primo elemento tra tutti resta la storia del paziente, riportata in una time line degli eventi
Dopo una prima fase di indagine si inizia il trattamento posturale, organizzato secondo quanto emerso dall’analisi posturale e tenendo sempre presente che tendenzialmente dove si manifesta il problema non vi è mai la causa e che il corpo è un abile “compensatore”; ossia tende a nascondere o spostare il dolore nel tentativo di non soffrire. Alla luce di questi elementi, l’unico modo per indagare le catene muscolari e scoprire “responsabili” e “vittime”, è mettere tutte le catene in tensione contemporaneamente. In questo modo, potranno emergere reazioni o ricordi legati al punto della causa originaria e si potrà poi quindi agire di conseguenza. Nello specifico, l’azione sull’ATM prevede una prima fase di decontrazione dei muscoli mandibolari attraverso un lavoro di fibrolisi accompagnato da lenti movimenti di apertura e chiusura della bocca a scopo propriocettivo. Per ridurre una lussazione, un clic o un lock si va a comprimere il condilo che tende a lussare per farlo rimanere in sede nelle fasi di apertura e chiusura e a decoaptare il condilo opposto che con il suo blocco o movimento “ipo”, è spesso il vero responsabile del problema. Tali manovre risultano altamente efficaci: in poche sedute si è in grado di restituire la funzionalità dell’ATM e migliorare la condizione posturale del paziente. (D. Raggi, M. Dompé, & L. Benedetti, 2003)
L’azione terapeutica sulla lingua è anch’essa principalmente di carattere destrutturante attraverso lo stretching e successivamente di carattere propriocettivo per restituire la corretta funzione deglutitoria e ricondizionare la corretta postura linguale.Sophie Mattarelli
Daniele Raggi
Vincenza De MarcoTratto da http://metodoraggi.com
L’alluce valgo: caratteristiche, cause, trattamenti e prevenzione.
Un argomento molto interessante, che merita di essere approfondito, è l’alluce valgo.
In ambito posturologico esistono ampie possibilità di trattamento di tale patologia, con risultati sorprendenti.
Come già detto negli articoli precedenti, non esiste mai una causa senza un successivo effetto, quindi esistono una o più ragioni in base alle quali l’alluce comincia a deformarsi.
Perché mai, se osserviamo popolazioni che vivono nel deserto o che comunque camminano sempre a piedi nudi, come avveniva nell’antichità, non si trova un solo accenno all’alluce valgo o ad altre patologie del piede o delle dita?
Anzi, le dita si protendono perfettamente in avanti e ben diritte, con un ampio spazio fra di loro.
Non un alluce valgo, né dita griffate o deviate, né tanto meno, cadute delle teste metatarsali, etc.
Ora scopriamo insieme di cosa si tratta, quali siano le Sue ipotetiche cause, come si può affrontare tale patologia e, se possibile, come prevenirla.
Tecnicamente l’alluce valgo è una deviazione verso -l’esterno” del primo dito del piede, che si avvicina al secondo dito e, nei casi più gravi, arriva a sospingerlo in fuori o a sovrastarlo.
In alcuni casi, parallelamente all’alluce valgo, si osserva come anche le altre dita del piede abbiano subito alterazioni, contribuendo in tal modo a creare una cattiva dinamica del piede.
Analizziamo in modo tecnico e scientifico quale dovrebbe essere la forma corretta di un piede sano sotto il profilo biomeccanico.
La parte anteriore del piede (avampiede) comprende le cinque dita e la regione con cui esse si articolano, cioè il metatarso. I segmenti ossei dell’avampiede sono formati dunque dalle ossa metatarsali e dalle falangi di ciascun dito.
Queste ossa si congiungono nelle articolazioni metatarso-falangee, che corrispondono alla radice delle dita, e nelle articolazioni interfalangee, che collegano le falangi delle dita tra di loro.
Eseguite ora un esame posturale su voi stessi stando in posizione eretta, a piedi nudi ed uniti; fate una piccola contrazione di tutte le dita dei piedi in flessione dorsale, cioè verso l’alto (contrazione dei muscoli estensori delle dita). Senza modificare la stazione eretta, dovreste scorgere i cinque tendini, (che dal metatarso arrivano a tutte le dita),
emergere “a fior di pelle”.
Se tutto è nella norma. ogni dito del piede dovrebbe risultare perfettamente diritto, sul prolungamento del proprio tendine (le dita non devono quindi curvare né a destra né a sinistra); se le dita saranno ben diritte ed in asse, come descritto, noterete uno spazio fra un dito e l’altro, come è giusto che sia.
Infatti le dita non devono risultare l’una a ridosso o appiccicata all’altra, né sovrastarsi, né essere deformate o uncinate (come per aggrapparsi al suolo), ma delicatamente appoggiate. Anche il quinto dito, il più piccolo, deve essere ben diritto.
A dispetto di quel che la sua dimensione ridotta indurrebbe a pensare, questo è infatti più importante delle dita intermedie, dato che ha il compito di “pinna stabilizzatrice” per la postura, sia in statica che in dinamica. Non a caso é dotato di un muscolo “abduttore proprio del che gli conferisce la capacità di stabilizzare e meglio distribuire il peso del corpo.
Quasi sempre, purtroppo, la sua importante funzione è compromessa a causa del tipo di calzature che utilizziamo quotidianamente.
Dicevamo che quando l’alluce diventa “Valgo”, esso si trova deviato verso il margine esterno del piede. all’infuori e a ridosso del secondo dito. In tale situazione la prima articolazione metatarso-falangea, che unisce l’alluce al metatarso, forma un angolo ottuso ed emerge quindi la “testa metatarsale”. cioè quella tipica protuberanza ossea che spesso risulta rossa e dolorante per via degli sfregamenti che subisce e per i disagi meccanici a cui è inevitabilmente sottoposta ogni giorno.
E’ fondamentale far capire al nostro paziente quale importanza rivestano i nostri piedi, e quanto sia quindi necessario che risultino sempre in buona condizione meccanico-funzionale.
Purtroppo molti pazienti arrivano da noi non per avviare un’azione preventiva perché si sono accorti che l’alluce comincia a deformarsi. ma quando ormai hanno difficoltà a camminare o i piedi sono doloranti.
Quando il paziente gode di un’accettabile salute fisica, difficilmente apprezza di avere i piedi sani e di poter camminare, correre o saltare; non si rende conto di quanto sia importante e fondamentale perché sembra ovvio e naturale.
Ma quando non riesce più a svolgere le azioni ordinarie, semplici e quotidiane, allora si ricorda dei bei momenti in cui era in grado di fare tutto e magari si sofferma a sognare di poter semplicemente camminare e volteggiare su un prato a piedi nudi.
Come nasce tale patologia?
A volte può trattarsi di fattori genetici e dunque ereditari, ma più spesso questo problema é legato a cause meccaniche in relazione al tipo di calzature che portiamo, al fatto che non camminiamo più scalzi e a problemi della postura della parte alta del corpo.
Sulle cause ereditarie non ci soffermeremo, dato che rappresentano una minoranza; darei invece molta importanza al fatto che oggi non si cammina quasi più scalzi, ma con calzature che POCO hanno a che vedere con la forma e le esigenze del nostro piede.
Le scarpe sono fatte a punta, strette, con supporti plantari non adeguati alle esigenze della nostra volta plantare (che deve auto-sostenersi grazie agli stimoli che riceve appunto nell’arco plantare, quando non ha sotto di sé un supporto, come natura ci ha fatti); inoltre spesso le scarpe moderne con tacchi spingono il piede a scivolare in avanti, verso una punta stretta ed inadeguata che obbliga le dita ad ammassarsi una a ridosso dell’altra. Ecco una delle modalità con cui si forma, col tempo, l’alluce valgo. Peraltro bisogna sottolineare come il tacco non sia un marchingegno costruito seguendo la natura del corpo umano. Se cosi fosse, la natura stessa durante millenni di adattamenti e mutazioni avrebbe già provveduto a crearlo sotto il nostro tallone… ma cosi non è!
Importante quindi non confondere mai gli imperativi della moda con le reali esigenze del corpo.
A volte alle donne che soffrono di dolori o crampi ai polpacci, o che non riescono più ad abituarsi a
calzature senza i tacchi, viene consigliato l’uso di un tacco modesto. Tale soluzione estetica può rappresentare un accettabile compromesso, ma
sarebbe opportuno anche abbinare esercizi specifici per recuperare l’elasticità ai muscoli e dunque liberta alle articolazioni.
Questo approccio consentirebbe di stare in piedi senza mal di schiena o dolori ai piedi.
È consigliabile riservare ad occasioni speciali l’utilizzo di scarpe con tacchi alti, cosi da non rinunciare sempre a questo “piacere estetico”.
A volte l’alluce valgo è associato al piede Piatto, che ne favorisce l’insorgere: ma molto spesso, a sua volta, il piattismo é legato a problematiche posturali, ad un portamento denominato “abitus astenicus”, ovvero quel portamento da persona stanca e quasi schiacciata dalla gravità o dalla vita.
In tale situazione la causa è legata a fattori muscolo-articolari, ovvero alle catene muscolari corte per eccesso di tensione. stress: per cattive abitudini dovute alla vita sportiva o all’opposto ad una vita sedentaria; per traumi, incidenti, lavori meccanici, etc.
Ricorderete come le catene muscolari siano costituite dai vari singoli muscoli del corpo, i quali per come sono posizionati ed aderenti l’uno all’altro.
Si comportano come se fossero un solo muscolo dalla testa ai piedi.
Dunque un problema che insorge al collo, può creare interferenze fino ai piedi e viceversa.
Per ben valutare ed agire nel caso di un alluce valgo, dobbiamo osservare dunque anche altri elementi del corpo ed in modo particolare le ginocchia.
Analizziamo il paziente in posizione eretta, a piedi uniti: le rotule devono essere perfettamente in asse e parallele fra di loro, come se fossero le ruote anteriori della nostra automobile; se le convergenze saranno reqolari, (rotule in asse), andrà tutto bene, altrimenti si avranno problemi di usura prematura dei pneumatici. minor stabilità dell’auto stessa, impossibilità di procedere diritto se togliamo le mani dal volante.
In altre parole. anche il nostro corpo si comporta come un’automobile: rotule intraruotate, possono contribuire sia al piattismo che all’alluce valgo.
Ecco che scopriamo, in posturologia. come molti problemi dei piedi provengano dalla parte alta del corpo; per esempio se il coccige (a causa di una caduta sul sedere) ha subito delle modificazioni e si è lussato, la colonna modificherà inevitabilmente, inducendo una modificazione di tutto rassetto posturale dell’intero sistema.
Gli effetti di tale modifica potranno manifestarsi in vari modi: con un appoggio modificato del piede rispetto al suolo; con le dita in atteggiamento griffato; con un alluce che può ruotare su se stesso e diventare anche valgo.
In una visione olistica, globale dei problemi, come deve essere in posturologia, ma anche in chi come il massofisioterapista deve agire su di un paziente, ogni patologia deve venir valutata osservando l’intera postura: per esempio oggi si sa che esiste una relazione fra problemi dei denti, dell’articolazione Temporo-Mandibolare e la postura: fra problemi visivi e postura; tra muscoli tesi/retratti e postura: e come ognuno di questi elementi appena citati sia poi in relazione con tutti gli altri: “tutto è in relazione con tutto”. Esistono le cause ed esistono gli effetti.
Non bisogna mai agire in un singolo distretto nel tentativo di “curare” la zona in cui si manifesta il problema, ma cercare la causa scatenante delle manifestazioni dolorose, delle patologie, dei processi artrosici.
Cosa fare di fronte ad un alluce valgo
Dopo aver fatto un’attenta valutazione posturale, come prima cosa si deve cercare di capire in che modo sia diventato valgo quell’alluce.
Poi è importante coinvolgere. nel lavoro che andremo a fare, ogni distretto muscolare (catene) che possa aver causato tale patologia: quindi effettuare esercizi specifici come da foto, per riportare l’alluce in posizione corretta.
Osserviamo come posizionare il paziente (Fig. 2) affinché la sua catena muscolare posteriore, la più importante, sia messa in tensione e dunque permetta una integrazione dal basso verso l’alto e viceversa. La Figura
2 mette in evidenza una posizione ad approccio globale. In questa postura, il fenomeno interessante che si verifica è che ogni esercizio che faremo per l’alluce metterà in crisi, in tensione, i muscoli che sono responsabili dell’alluce valgo. Soprattutto, il fatto sorprendente sono i cambiamenti in tempi rapidi di quelle deformazioni che si è sempre ritenuto fossero irreversibili. Ecco come ridare al nostro paziente il sorriso per la gioia di poter camminare meglio e senza dolori.
Solo in casi veramente gravi si deve ricorrere all’intervento chirurgico, proprio quando non è possibile intervenire con terapie fisiche. Ecco un trattamento in assetto corretto, cosi da interagire non solo a livello locale (piede) ma sull’intera postura, mettendo in tensione le catene muscolari (Fig. 3-4-5).
Fig. 3 – Prima fase: frazionare e deruotare l’alluce rimettendalo in assetto corretto cioè sul prolungamento del suo tendine.
Fig. 4 – Seconda fase: Mantenere la trazione dell’alluce ed effettuare un allunqamento dell’intero piede con flessione delle dita in chiusura.
Fig. 5 – Posizionare l’alluce allineato alle altre dita e mantenere in postura corretta per almeno 90 secondi.
Gli esercizi sopra illustrati devono essere eseguiti mantenendo posture particolari dell’intero corpo, respirazione specifica e trazioni costanti, al fine di ottenere deformazioni del tessuto connettivo e muscolare chiamato in causa in tale patologia.
Senza entrare ora più in dettaglio nelle varie manovre di correzione dell’alluce, evidenziamo che questa tecnica è in grado di ridurre notevolmente i disagi e i dolori, permettendo al paziente di riprendere a camminare meglio sin dalle prime sedute di lavoro.
Ci sono naturalmente altri esercizi che possono venir eseguiti in studio, ed altri che vengono consigliati al paziente perché li faccia a casa, cosi da permettere risultati più duraturi in tempi più rapidi.
Inoltre si può richiedere al paziente di fare tutti i giorni piccole azioni, che possono aiutare a ridare spazio alle dita: camminare quando possibile a piedi nudi, calzare scarpe comode, senza tacco o a tacco basso, ben flessibili, a pianta larga, oppure delle infradito.
La sera, giunti a casa dopo una giornata di lavoro, importante massaggiarsi i piedi con appositi strumenti che aiutano a stimolare la circolazione, la sensibilità, la propriocettività, il riequilibrio energetico dei vari organi, che trovano nel piede (secondo la medicina cinese) il loro collegamento, ridando cosi benessere a tutto il corpo.
Se a queste poche regole viene affiancato un lavoro in globalità, per ricercare le cause, i risultati non tarderanno ad arrivare.
Daniele Raggi e Cloria Majocchi
Prof. Daniele Raggi, Dott. In Scienze Motorie. MFT. Posturologo, Docente Master in Posturologia c/o la la Facoltà di Medicina e Chirurgia, Dipartimento d’ Medicina Sperimentale e Patologie, Università “La Sapienza” di Roma (a.a. 2003/2003).
Prof.ssa Maiocchi Gloria, posturologo, MFT.
Tratto da www.posturalmed.it
Dolori ai piedi: conseguenza di alterazioni posturali.
Ogni giorno ci permettono una normale vita di relazione, ci permettono di camminare, correre, saltare, ballare, giocare, dunque esprimerci in vari modi: i nostri piedi sono una straordinaria opera ingegneristica della nate ra capaci per questo di sopportare in ogni frangente il peso del nostro corpo e consentirci di camminare fino a poter coprire distanze ben oltre 160.000 chilometri (circa quattro volte il giro del mondo).
Collocati ben lontani dalla testa e dagli occhi (sede delle percezioni e della vista), ‘questi sconosciuti’ divengono troppo spesso trascurati o dimenticati. Anche l’odore caratteristico di un piede soffocato dentro calzini sintetici e dentro scarpe ermetiche, porta a considerarlo sempre meno dignitoso ed importante. Vediamo di conoscere meglio questa meravigliosa opera di ingegneria biomeccanica creata dalla natura che, grazie a 26 ossa, 33 articolazioni, 114 legamenti, 20 muscoli e un’infinità di recettori nervosi svolge importantissime funzioni, alcune delle quali automatiche e pertanto ignorate almeno fino a quando funzionano corretta mente e/o non provocano dolore.
Il piede, infatti, è l’organo che permette la stazione eretta, la propulsione ed il movimento, l’adattamento della marcia sul terreno e la coordinazione della postura ma non solo.
Esso ha persino una funzione importantissima per quanto riguarda il ritorno venoso dagli arti inferiori: la “spremitura” dell’intrico di vasi e capillari presenti dal tallone all’avampiede (soletta plantare del Lejars) e dei vasi profondi del polpaccio ad opera della muscolatura, consente al piede di comportarsi come una seconda pompa cardiaca. Il corretto funziona-mento del sistema piede caviglia ginocchio permette pertanto di riportare il sangue al cuore evitando edemi, gonfiori e la comparsa, nel tempo, delle temute vene varicose.
Altro aspetto particolarmente importante è la presenza della cosiddetta “mappa riflessogena” cioè della proiezione sulla pianta e sul dorso del piede di punti corrispondenti a tutte le altre zone del corpo, organi interni compresi. Ne risulta che una camminata corretta, non ostacolata da scarpe scomode, tomaie rigide, con tacchi e/o supporti plantari, permette di esercitare un massaggio completo e benefico di tutto il corpo in modo del tutto gratuito.
Tornando alle funzioni prettamente meccaniche del nostro piede, oltre all’evidente funzione di sostegno, ha anche una funzione di “radar” ovvero di analizzatore delle asperità del terreno al fine di predisporre immediati adattamenti posturali per evitare traumi, distorsioni o compressioni delle varie articolazioni (dal piede a tutta la colonna, al cranio).
La mancata o alterata sensibilità anche di una sola parte del piede, renderebbe le risposte alterate o falsate: saranno risposte non corrette ma adattate, con il rischio di inciampare facilmente anche su un terreno perfettamente pianeggiante.
Un’altra funzione importantissima svolta dai piedi è quella di ammortizzatore. Essi infatti presentano tre archi tesi tra calcagno, primo e quinto metatarso, in grado di modificare il proprio arco di curvatura per restituire successivamente la forza elastica che accumulano, esattamente come succede negli ammortizzatori per veicoli del tipo a “balestra”.
I) Arco longitudinale interno o mediale
II) Arco longitudinale esterno laterale
III) Arco trasverso o anteriore
Quando questo meccanismo funziona correttamente la spinta proveniente dal peso soprastante durante il passo, viene utilizzata per le funzioni di spremitura della soletta plantare e di massaggio delle zone riflesse, ma soprattutto viene smorzata la controspinta proveniente dal terreno, evitan do che colpisca con violenza le articolazioni superiori: ginocchia, anche, articolazioni vertebrali.
Persino la mandibola può risentire di un appog¬gio scorretto del piede.
Quali devono essere le caratteristiche di un piede in buona salute?
Dal punto di vista funzionale, l’appoggio del piede dovrebbe essere equamente diviso tra retropiede ed avampiede, ed in particolare dovrebbe permettere di scaricare il peso corporeo su calcagno, primo e quinto metatarso con un rapporto rispettivamente di 3:2:1. Come appena ricordato, è fondamentale la presenza dei tre archi plantari (generalmente riusciamo ad individuare solo quello interno perchè più ampio), che devono fornire la sensazione di plasticità, adattabilità e morbidezza del piede.
Guardiamo i nostri piedi:
Scalzi, a piedi uniti dagli alluci ai talloni; se i piedi hanno una forma corretta, dovremmo poter osservare che gli alluci si toccano per intero, mantenere un po’ di spazio fra una volta plantare e l’altra, e le caviglie (mal leoli tibiali), devono toccarsi.
I bordi esterni del piede non devono presentare spanciature.
Inoltre tutte le dita dovrebbero essere diritte, distese, appoggiate a terra, ciascuna sul prolungamento del proprio tendine (individuabile sollevando leggermente le dita dal suolo), senza essere griffate (ad artiglio) o a martello.
Anche il quinto dito deve essere preso in considerazione: può essere definito la nostra “pinna stabilizzatrice” e deve mantenere la sua capacità di abdursi (aprirsi verso l’esterno). Sulla pianta e sulle dita non devono essere presenti calli, vescicole, arrossamenti o ispessimenti cuta nei: questi elementi sarebbero da imputare a sovraccarichi funzionali. Anche una persona non esperta sarà in grado di capire se un piede è funzionalmente corretto dal suo aspetto non armonico; infatti la presenza di calli, storture, piedi “nodosi”, etc., ci deve subito far pensare a squilibri posturali che si sono instaurati nel tempo per svariate ragioni: incidenti, posture viziate, diaframma molto teso per eccesso di stress, interventi chirurgici, cicatrici, problemi odontoiatrici. problemi visivi, problemi viscerali, etc.
In altre parole, ogni problema muscolo-articolare di una area corporea, si ricollega con l’intero sistema posturale e dunque anche con i piedi. Anzi, la relazione con i piedi è ancor più importante di altre parti perché questi rappresentano la mediazione con il terreno, ovvero la via preferita dal corpo per scaricare verso l’esterno i problemi posturali provenienti dall’alto (dato che la forza di gravità ci spinge verso il terreno e non verso il cielo). Nel caso in cui si utilizzino calzature inadeguate, con punta stretta, plantari, tacchi, fondo rigido o costrizioni sulla caviglia, il danno che i piedi possono subire diventa una certezza. Quando il piede diventa sofferente ed incapace di ammortizzare l’impatto che proviene dall’alto, resti tuisce le sue rigidità e problematiche nuovamente verso l’alto, creando l’effetto boomerang.
Ed ecco che si crea un gomitolo di problemi, una confusione fra la causa ed effetto, cioè il dolore, con maggior difficoltà per il posturologo nel risolvere il problema.
Un sondaggio della Doxa rivela che sono molti gli italiani che soffrono o hanno sofferto di dolori ai piedi: questo problema, quasi sconosciuto tra le popolazioni che camminano a piedi scalzi, con il piede libero di adattarsi, è invece sentito dalle popolazioni “civilizzate”. Infatti le calzature, nate per proteggere i nostri piedi, si possono trasformare in strumenti di tortura. diventando responsabili (in buona parte) dei problemi ai piedi.
La ragione per cui le donne soffrono di problemi ai piedi in percentuale quasi doppia rispetto agli uomini è legata al fatto che portano abitualmente scarpe più strette in punta (che non lasciano spazio alle dita e le stringono come una morsa fino a deformarle) e coi tacchi che obbligano Il peso del corpo a scaricarsi sull’avamplede.
Ecco una delle cause dell’alluce valgo e delle metatarsalgie (cioè i dolori alla base delle dita dovuti alla compressione e alla caduta delle teste metatarsali).
La parola al paziente:
“Perché i mìei piedi fanno tanto male”?
Il Signor A., dingente aziendale di 55 anni, si rivolge al nostro studio esasperato dai forti dolori ai piedi che si scatenano quando cammina e quando sta in piedi per lungo tempo. I dolori lo portano a zoppicare in caso di terreno sconnesso o ciottolati. Questa situazione si protrae ormai da un paio d’anni, ed ultimamente anche le ginocchia cominciano a lamentare dolorose sensazioni nella sosta in piedi prolungata. Inoltre soffre di forti rigidità a tutta la schiena e alle gambe, tanto da far fatica a mettersi i calzini e le scarpe. Questa sensazione di tensione diffusa, unita al notevole sovrappeso, lo fanno a suo dire “sentire come un’ottantenne malconcio”.
Diagnosi medica: “metatarsalgia” con presenza di neurinoma di Morton.
L’osservazione della postura del paziente evidenzia la forma dei piedi difforme dai canoni posturali data la forte presenza di dita rattrappite (griffate), con evidentissima caduta delle teste metatarsali. La forma del torace ed il suo modo di respirare esprimono un grosso blocco respiratorio-diaframmatico. A tal proposito il Sig. A. riferisce di vivere da molti anni sottoposto a forti stress per il suo ruolo di responsabile in azienda, rendendosi conto che a volte dimentica di respirare.
La colonna presenta curve alterate, ovvero le lordosi cervicale e lombare sono fortemente accentuate.
Alla luce di queste evidenze, l’approccio terapeutico e posturologico inizia con esercizi di rilascio e sblocco del muscolo diaframma (il principale della respirazione) mentre il paziente è in postura decompensata su Pancafit®.
Successivamente la seduta Posturologica continua con esercizi che hanno lo scopo di ridurre le tensioni dei muscoli responsabili delle cadute delle teste metatarsali.
Alla fine della prima seduta, definita “molto impegnativa”, il Sig. A. riferisce che l’appoggio dei piedi a terra rsulta decisamente più sicuro ed equilibrato ed è presente una diffusa scioltezza alle ginocchia.
Il paziente, sorpreso del risultato ottenuto, decide pertanto di proseguire con le sedute Posturali.
Nel corso delle sedute successive, oltre a proseguire con il lavoro del primo incontro, sono stati inseriti esercizi posturali per il collo, date le tensioni accumulate durante gli anni dì lavoro e di stress.

Particolare esercizio che permette
di diminuire le tensioni della
muscolatura responsabili della
caduta delle teste metatarsali
Al fine di accelerare i tempi di recupero della forma fisica, l’impegno del Sig. A. prosegue anche a casa: accetta di svolgere, per sole due volte a settimana. esercizi di respirazione ed esercizi con le “Star balls” (particolari palline decontratturanti per i muscoli della colonna vertebrale e degli arti inferiori), in modo da allentare le tensioni della catena muscolare posteriore.
Alla quarta seduta il Signor A. può già camminare in modo deciso e veloce ed il suo disagio è già stato ridotto dell’80%: non avverte più dolori, se non una lieve sofferenza quando calza scarpe dalla suola particolarmente sottile.

Manovra che permette II corretto
riposizionamento delle teste
metatarsali svolta In postura di
Allungamento Muscolare Globale
Decompensato.
Alla nona seduta il paziente è decisa-mente “rinnovato” sia nell’aspetto fisico sia nel modo di percepirsi. I piedi e le ginocchia che tanto aveva¬no sofferto, non lamentano più alcun dolore rigidità o tensioni.
Anche il collo ora può girarsi con scioltezza; infilarsi i calzini è diventata un’operazione agevole.
I miglioramenti fisici ottenuti, hanno ridato al paziente la “voglia di cambiare”, di fare, di tornare ad essere vivo e dinamico come vent anni prima, inducendolo anche a cambiare il proprio regime alimentare, con il risultato di aver ridotto notevolmente il suo soprappeso.
Oggi, il nostro Signor A., dimostra veramente 20 anni di meno!
Tratto da www.posturalmed.it